top of page

Una vita di click: muore a 97 anni Sabine Weiss

«Ho lavorato duramente, ma sono stata fortunata. La fotografia ha preso tutta la mia vita»

di Lara Minelli, 30/12/2021


Fonte: Facebook Casa dei Tre Oci


Veloce e meccanico il click, l’otturatore si chiude, la luce si blocca ed è poesia. Un istante, solo un fugace attimo e l’immagine ferma, immortalata nello scatto, diventa emozione. Ma per questo serve un occhio da falco, un animo sensibile ed una mente aperta. Nessun limite, niente barriere. Solo un rapporto morboso con la propria macchina fotografica. E un dialogo criptico tra il detto e il non con il soggetto della fotografia. È contatto visivo. Intesa. C’è attesa, ragionamento, tensione. Finalmente si libera: click. Ecco che si scatena come una mitraglietta. Click, click, click. Veloce, appassionato, singhiozzante.

«I like the click, I never wait. Mi piace il click, non aspetto mai»

In quasi 80 anni di carriera Dio solo sa quanti ne ha scattati. Sabine Weiss, l’ultima rappresentante della scuola di fotografia umanista francese del dopoguerra accanto a luminari come Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Brassaï e Willy Ronis. Un’etichetta che non amava molto: «Il mio lavoro è troppo vario per essere relegato ad un momento storico. È molto di più».

Aveva ragione, Sabine Weiss, la fotografa svizzero-francese che amava scattare istantanee per le strade, famosa per quel bianco e nero ben presto fotogiornalismo, reportage, ma anche pubblicità e moda. New York Times, Newsweek, Life, Vogue, Elle. Istituzioni come la Nato o personalità come Samuel Beckett, Joan Miró, Benjamin Britten, Igor Stravinsky, Ella Fitzgerald o Brigitte Bardot, per citarne alcuni. Parigi, New York, Chicago e non solo.


Tutto il mondo conosce la brillante e bizzarra fuoriclasse, Sabine Weiss (“La poesia dell'istante”, la prima mostra in Italia a lei dedicata, organizzata dal La Casa dei Tre Oci di Venezia, curata da Virginie Chardin, promossa dalla Fondazione di Venezia e Marsilio Arte in collaborazione con Berggruen Institute. Per ripercorrerne la storia e l’opera, visitabile da marzo ad ottobre 2022).

Ed oggi la piange: come in un click scompare all’età di novantasette anni nella sua casa lillipuziana a Parigi. Tanti i viaggi con zaino in spalla, cavalletto ed attrezzatura, Portogallo, India, Birmania, Bulgaria ed Egitto. Eppure lo stesso campo base: il sedicesimo arrondissement, quartiere, parigino con lo studio sul cortile di piante, risorto dalle ceneri di un laboratorio di scultura cinque metri per cinque.

«Il mio giardino segreto, il mio gruzzolo spirituale, la mia memoria intima personale»

Fonte: Sabine Weiss website


Sabine ha sempre voluto diventare una professionista. A otto anni la prima macchina fotografica, acquistata con la paghetta. Da allora non si è mai data per vinta: unica fotografa donna del dopoguerra ad esercitare per tutti questi anni. «All'epoca l'idea di essere una fotografa professionista era inconcepibile. Non c'erano libri, né mostre. Almeno non in Svizzera. Sono stata fortunata. Ho potuto vivere del mio lavoro, essere indipendente. Ho lavorato duramente. La foto ha preso tutta la mia vita».


Dallo sguardo e dalla voce di chi ha visto molto e rimpianto poco. Simbolo di vivacità intellettuale, coraggio ed integrità. Restia ad esporre («Non avevo bisogno a differenza di mio marito [Hugh Weiss, pittore americano]. Tutte le riviste con cui lavoravo mi mandavano le copie, mi bastava») e schiva a socializzare con colleghi. Colpisce non tanto il perfetto equilibrio tra forme, luci ed ombre, quanto il calore delle immagini che “impressionano la pellicola” fino ad “attraversarla”. Sguardi di bambini, i soggetti preferiti, che giocano scalzi in strada. Passanti, mendicanti, commercianti. Un sorriso, un gesto, un dettaglio.

«Per essere potente una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l'emozione che il fotografo ha provato davanti al suo soggetto»

Questa è Sabine Weiss. Il mondo dietro un mirino, un chiaroscuro patinato che nasconde colori da cogliere. Un modo di sentire. Un modo di vivere.

Click, l’otturatore si chiude, la luce si blocca ed è poesia.

Comments


bottom of page