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Femminicidio: numeri da incubo e tante domande. Risponde la Polizia di Stato

L'ispettrice Pollonara: «La donna deve vincere la paura e aver voglia di ripartire»

di Lara Minelli, 25/11/2021

L'approfondimento - Inchiesta per Executive Master RCS Academy - Corriere della Sera



Foto: Lara Minelli


IL DATO

Se la matematica non è un’opinione il femminicidio non è solo un’emergenza, ma una vera e propria piaga sociale che fonda le sue radici in una cultura ancora troppo misogina e discriminatoria. Secondo l’ultimo report del Viminale il numero avrebbe visto un incremento pari ad un +8% rispetto lo stesso periodo l’anno scorso e un +10% in violazioni di Codice rosso. Se già queste variazioni fanno da spia, sono i dati del report Omicidi volontari, curato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale della polizia criminale a delineare un quadro inquietante: 109 le donne che hanno perso la vita da inizio anno fino al 21 novembre contro le 101 nello stesso periodo solo un anno fa, 93 in ambito familiare e affettivo (87 nel 2020). Tra queste 63 per mano del partner o un ex (+7% rispetto al 2020). Ma c’è di più: solo nell’ultima settimana sono stati registrati 11 omicidi. 9 di questi legati all’ambiente familiare, tra cui 6 donne, 3 uccise dal partner o da un ex.

Se questo ritmo dovesse diventare la normalità, salterebbe la proporzione: “1 donna ogni 3 giorni”. Secondo le stime più del 40% delle donne ha figli.


Alla luce di questi numeri si rendono sempre più doverose e necessarie nuove misure che possano affrontare concretamente il problema in termini di tempestività e profondità di azione. Non basta installare tante panchine rosso fiamma nei parchi e posare scarpette rosse nelle piazze.


L’INTERVISTA

Ad oggi qual è l’iter per una donna vittima di violenza domestica? Quali i tempi tra la segnalazione e la denuncia? La comunità quanto può proteggere? Cosa succede all’uomo? E al minore? Risponde Francesca Pollonara, vice ispettore della Polizia di Stato, responsabile Divisione Anticrimine - Minori e Vittime Vulnerabili della Questura di Brescia.


Dottoressa Pollonara come agite in caso di violenza domestica a danno della donna?

«La normativa si è mossa molto rispetto a vent’anni fa. Si cerca di agire con più tempestività e in maniera preventiva. La letteratura ci mostra come non tutto dipende esclusivamente da noi. Ad oggi il dark number [la differenza tra l’effettivo e il percepito] in questo tipo di reati è altissimo: solo 3 donne su 10 chiedono il nostro aiuto».


Forse per troppa paura?

«Paura e vergona. Ma non solo: a volte minimizzano e giustificano un uomo violento e potenzialmente pericoloso. Spesso sono donne che non hanno una casa dove andare o che si trovano in difficoltà economiche tali da non poter mantenere i figli».


Agire in maniera preventiva cosa significa per voi?

«Come misura di prevenzione agiamo nell’arco delle 24-48 ore. Dopo la segnalazione, che può venire anche da un terzo, avviamo il provvedimento di ammonimento per la persona. È una procedura di natura amministrativa. Una sorta di cartellino rosso che guarda ai reati spia, come la violenza verbale, economica, psicologica, quello schiaffo del tutto eccezionale.

Con l’istanza verifichiamo se la persona detiene delle armi. In caso positivo con un dda (divieto detenere armi) da parte del Prefetto, che ci mette tre giorni, togliamo armi e porto. Dopodiché invitiamo la donna ad allontanarsi dall’ambiente familiare con i figli. E chiamiamo a rapporto il maltrattante».


Nello specifico l’ammonimento cosa comporta?

«È un altolà per dire: “Se non ti redimi, si procederà con Procura”. In quel momento l’uomo viene invitato ad intraprendere un percorso psicologico in un Centro Uomini Maltrattanti. Anche a Brescia c’è. [25 in tutta Italia. La Lombardia la Regione più virtuosa con 8 centri distribuiti tra le principali città, Istat 2017]. Ad oggi non esiste né la possibilità di imporlo, né di monitorarne il proseguo in caso di adesione. Solo la Procura potrebbe, ma a sua libera discrezione.

È però allo studio la modifica dell’art. 572 del cp sui maltrattamenti per introdurre una sorta di trattamento ingiuntivo che possa incentivare la partecipazione».


Come agite verso la donna?

«Innanzitutto la invitiamo a scaricare l’applicazione WhereAreU: con una semplice icona sulla home page del telefono può immediatamente dare l’allarme. Facilita molto: in quella situazione il panico è totale. Grazie all’art. 384-bis cp allontaniamo d’urgenza il maltrattante dalla casa familiare. Questo però non esclude che possa per esempio ripresentarsi di notte. In quel caso scatta l’arresto per violazione del provvedimento. Ma capiamo come non sia rara la mancanza di consapevolezza pragmatica da parte del legislatore».


Le testimonianze delle famiglie delle vittime sottolineano iter burocratici e tempi di attesa a seguito di denunce tali da permettere all’aggressore di compiere il misfatto. «Possiamo intervenire quando sarà raggiunto un certo limite». Quando si raggiunge per voi?

«Rilancio con un’altra provocazione: l’indagato non è condannato. La nostra esperienza ci mostra come un 20-25% di istanze per atti persecutori o fatti di violenza domestica siano totalmente strumentali per l’ottenimento di qualcos’altro. Abbiamo avuto un caso di padre incarcerato a causa della strumentalizzazione da parte della madre, che ha fatto falsamente dichiarare ai figli l’abuso a loro danno. Piuttosto mi chiederei dov’è la giustizia. È difficile definire».


I dati del Viminale di questi giorni mostrano un incremento del 10% di violazioni di Codice rosso rispetto ad un anno fa. E un +79,5% di chiamate al 1522 nel 2020, di cui solo la metà avrebbe denunciato. E un -12,9% di denunce rispetto i dati del 2019. Vi siete ritrovati nei numeri?

«No, per quanto riguarda Brescia possiamo ritrovarci solo nel meno delle denunce, per il resto c’è stata continuità negli ultimi anni. Da quando è stata introdotta la normativa sul Codice rosso, che attribuisce a nostro carico una serie di incombenze rispetto alla fase successiva alla detenzione, la casistica è diventata grande. Diventa più difficile per noi dare il giusto peso. Solo un’attenta disamina saprà dire chi ha sbagliato. Nel 99% dei casi la letteratura ci mostra come a subire sia la donna, ma non è detto. Ogni intervento in un nucleo familiare aumenta la distanza tra le due figure che sono mamma e papà. Agire per gradi è fondamentale. Con questo non voglio minimizzare, ma sottolineare la difficoltà della materia».


Quando la donna e i figli sono accolti in una Casa Rifugio si possono dirsi protetti?

«Per le Case di Protezione si apre un altro capitolo. Le donne non vogliono andarci, la vivono come una sorta di prigione. “Mettete in prigione me anziché lui?” Purtroppo vedono nella condanna dell’altro la risoluzione ai loro problemi, ma non è così. Entrambe le persone devono essere seguite e tutelate. E la tutela della parte offesa non può e non deve coincidere con la condanna o la reclusione dell’autore. Lo Stato può anche punire, ma deve comunque garantire anche all’aggressore una serie di diritti».


Come influisce una comunità su un minore?

«I bambini subiscono un trauma quando vanno in comunità, perché vengono improvvisamente sottratti dall’ambiente in cui sono cresciuti. Passa un mese prima che inizino un nuovo percorso a scuola. Ma anche quello non sarà più normale: ci sarà sempre un operatore della comunità che li scorterà durante il tragitto. È la perdita totale della quotidianità».


Una Sua ultima considerazione sul problema?

«Vorrei invitare la donna a vincere la paura e trovare la voglia di ripartire»

«Dimenticare non può. Ma deve trovare gli strumenti per arginare il passato e ricominciare. Trasmettere ai figli il messaggio che questa disavventura, mi passi il termine, non deve succedere, perché quella non è la normalità».


«Sensibilizzare sul tema resta fondamentale. Si parte sempre dai più giovani. Nella movida notturna vediamo forse lo spaccato peggiore, quello violento e noncurante del rispetto dell’altro e delle forze dell’ordine. Ma quando vado nelle scuole, mi rendo conto quanto quel triste squarcio sia una minoranza».

«Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce»

«E per quello che ho visto finora la foresta è molto molto più grande dell’albero. Ecco che l’elemento negativo diventa un punto di forza se la foresta è grande».

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