Noi orfani speciali e invisibili
- LARA MINELLI
- 24 nov 2021
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 22 apr 2022
Femminicidio: il difficile domani di chi resta «Ti manca la terra sotto i piedi»
di Lara Minelli, 24/11/2021, inchiesta per Executive Master RCS Academy - Corriere della Sera
Video produced by Lara Minelli
«Da piccolo c’era Elisabetta del Telefono Azzurro – sorride – ricordo ancora la sua voce. Era l’epoca delle cabine telefoniche. Bastava un gettone e parlavi quanto volevi. Ventiquattro anni dopo sono qui, a raccontare. Prima non riuscivo, faceva troppo male. Pensavo che avrei rimosso concentrandomi nel lavoro. Ma mi sbagliavo – abbassa lo sguardo – il nostro è un dolore che non puoi rimuovere». Oggi Giuseppe ha quarantacinque anni, è sposato e in sala operatoria salva le vite: «Ironia della sorte: io le persone non le ammazzo». Colpisce la luce del volto, segno di chi ce l'ha fatta: «È stata dura. Tre anni fa mi sono reso conto che non potevo continuare così. Inizio un percorso psicologico. E lo psicologo scava, si sa: “I tuoi genitori?” “Mio padre ha ucciso mia madre”».
Un legame di sangue che fa male. «Un vuoto incolmabile di una perdita incommensurabile» (Sara Pretalli, psicologa, Cooperativa Iside Antiviolenza e D.i.Re). È il difficile domani di chi resta. Da qualche anno lo Stato li chiama orfani speciali per le condizioni in cui lo diventano. Quanti sono non si sa: «2000, 2700 forse. Non si riesce a quantificare le donne vittime di femminicidio, figuriamoci gli orfani. Qualcosa si è fatto, ma siamo ancora in una fase preparatoria. La strada è lunga» (Vincenza Cinquegrana, psicologa, Università Seconda di Napoli).
Si spengono le luci. Cala il silenzio. Eppure prima c’era tanto rumore:
«Quando accade si mobilita il mondo intero. Se solo avessero fatto la metà di quelle cose una settimana prima mia mamma sarebbe ancora viva. Se allora la rabbia era perché nessuno mi chiedeva se arrivavo alla fine del mese, oggi è perché non è cambiato niente»
È grazie all’impegno di donne come Anna Baldry, la criminologa che per prima ha parlato di orfani speciali e dei numerosi Centri Antiviolenza come D.i.Re e il Centro Studi Vittime Sara dell’Università Seconda di Napoli se negli ultimi anni sono stati mossi dei passi per riconoscere una minoranza dimenticata. Nel 2018 la Legge ad hoc: la n.4, ma «è monca. Totalmente staccata dalla realtà. Bella solo sulla carta. Fatta da chi ha studiato sui libri e siede comodo in poltrona».
«Quei ragazzi sono soli e dimenticati anche oggi. E se rimarrà così, anche domani» (Emanuele Tringali, avvocato)
«Il giorno dopo il funerale dovevo partire per il servizio di leva. Ma sono stato fortunato, mi hanno rimandato di un mese. A parte il direttore di banca, preoccupato del mutuo, nessuno mi ha chiamato. Sarebbe bastato: “Come stai?”». Perdono tutto: mamma, papà, casa. Alcuni anche città e scuola. «Ti senti mancare la terra sotto i piedi e sprofondare. Credi di farcela. Invece no. Quel senso dell’abbandono ti perseguita e – cala il tono – per chiudere questo cerchio ho deciso di incontrare mio padre. Dopo ventidue anni. Venti minuti di richieste a mio cugino per riscuotere la sua pensione. Mi sono fatto coraggio: “Ti rendi conto che mi hai rovinato la vita?” La risposta: “Sì, ma mi sono rovinato anche la mia”. L’ho guardato negli occhi: “Tu sai che stai mentendo. E se dopo tutti questi anni continui a farlo, io e te non abbiamo nulla da dirci”. Me ne sono andato. Mi sentivo libero. Finalmente avevo chiuso il mio cerchio».
Foto: Lara Minelli e Pixabay
Sono loro gli orfani, ma insieme le tante famiglie, come quella di Vera, chiamate a prendersi cura dell’orfano. Pochi giorni fa l’anniversario: sei anni che Giordana non c’è più. Sei anni che la piccola A. non balla con la sua mamma. Io sono Giordana: un’associazione per le donne vittime di violenza. «È stata lei a sceglierlo in vita. Ha messo un’immagine di copertina in Facebook: I am Giordana. Le dissi: “Che bella questa foto!” – brillano gli occhi, soffoca il nodo alla gola – Lei: “Mamma, ti piace veramente? Da grande sarò una ballerina famosa”. Un po’ è andata così: a vent'anni lo è diventata, ma come vittima. La mia missione è per lei, perché non venga dimenticata».
Sorprende la forza di questa madre. Lo sguardo di chi ha dovuto «vedere la figlia carne da macello e metterla dentro una bara» e dire alla nipotina che la mamma era diventata un angelo. Vera non ha mai perso la voglia di lottare: «Ho imparato ad aspettare, perché nell’immediato volevo morire. Poi c’è stata una bimba – sorride – che mi ha chiesto aiuto. Ho capito che il suo trauma era peggiore del mio e io ero il suo unico punto di riferimento».
Oggi A. ha dieci anni. La prima orfana a cambiare il cognome con quello della madre: «È stata lei a chiedermelo. Un pomeriggio al parco giocando corre da me: “Nonna, mi hanno chiesto come mi chiamo, ma mi vergogno”. Le ho detto: “Dì che ti chiami A. e il tuo cognome Di Stefano”. Non è stato difficile farlo capire al prefetto. Ora è diventato un diritto riconosciuto dalla legge. Non smetterò mai di gridare i diritti degli orfani».
Dopo anni A. ha ripreso la danza per sentire l’energia della mamma. Ma all’inizio c’è stata una forma di autolesione, «A. ha vissuto momenti terribili, autodistruzione, colpe»
“Sono stata monella, mamma mi ha abbandonata. È scappata perché non l’ho saputa proteggere”
«Ancora oggi racconta quando fuggivano: “Mamma mi guardava e diceva: ‘Ce l’abbiamo fatta’ e ridevamo tanto”. La notte ha paura, teme gli ingressi del padre. È stato l’anno più brutto per A., chiusa in un angolo con le gambine rannicchiate. Il primo anno abbiamo creato la casa dei sogni, dove giocavamo e parlavamo con quella mamma che vedeva nella sua immaginazione. Per fortuna A. è una bambina socievole. Ma è grazie al lavoro che continuiamo a fare e che non potremo mai smettere».
«Non capivo perché lo Stato non potesse aiutarci» esorta subito Nancy. Eppure si dice fiduciosa: «Prima o poi nella normativa qualcosa cambierà».
«Con la mia storia spero di dare un messaggio di positività a chi vive oggi quello che abbiamo passato io e i miei fratelli»
Mancano due giorni a Ferragosto, ma Nancy stavolta non potrà festeggiare in spiaggia con gli amici. Perché perde la mamma e il papà. Insieme in un caso di femminicidio-suicidio.
Ha diciannove anni, tra poco inizia l’università: «Giurisprudenza. Volevo capire come funzionava una legge per la quale non esistevamo. Dopo tutti gli anni e le denunce, come potevamo essere ancora allo stesso punto?» La lotta con la vita: «Dovevo decidere se comprare un libro o un vestito con i soldi della spesa. Tutto diventava difficile. È in quel momento che inizi a sentirti diversa. Nessuno si dovrebbe sentire così». L’unione con la sorella, allora ventunenne e il fratello di quattro anni è stata la forza: «Siamo l’uno il pilastro dell’altro. Una famiglia».
«Ti senti perso. L’ansia ti soffoca, mentre il vuoto ti uccide. Così i ricordi, gli incubi, i sensi di colpa»
«Ti chiedi: “Perché? Chi sei? Che ne sarà della tua vita?” Ma non esistono risposte. Devi alzarti e andare avanti. Perché lo sai, il tuo sarà un dolore che non passerà mai».
Otto anni dopo Nancy ha ventisette anni, una laurea in legge, un lavoro in banca e un compagno che ama: «Quest’anno è stato il più importante della mia vita. Ho raggiunto tutto quello che ho sempre desiderato – sospira – la tranquillità. Ora di notte dormo serena. A volte mi chiedo: “Perché tutte queste gioie?” Nonostante tutto mi reputo fortunata. Se mi guardo allo specchio so che mia madre sarebbe felice. Mi manca tanto anche il papà, sebbene non giustifichi quello che ha fatto. Finalmente oggi, camminando per strada, sorrido».
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