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Femminicidio: Vera, la forza di un uragano e la dolcezza di una nonna

  • LARA MINELLI
  • 27 nov 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 22 apr 2022

«Ho imparato ad aspettare, ma non ho mai smesso di lottare»

di Lara Minelli, 27/11/2021

La storia - Approfondimento inchiesta per Executive Master RCS Academy - Corriere della Sera


Foto: Vera Squatrito, Facebook

«La vita è qui. Per un istante l'ho dimenticato [...] Dunque, vieni, Caos! Entrambi tacemmo [...] Non piangemmo quel momento, piangemmo la melodia della vita precedente, la semplicità meravigliosa, la leggerezza, i visi lisci, senza rughe. Salva ciò che rimane. Lotta. Cerca di sanare».


Che sia un celebre scrittore come Grossman o una semplice madre poco importa. Non serve una laurea per descrivere il dolore della perdita di un figlio. La disperazione soffoca. Il senso di vuoto uccide. I ricordi graffiano. Si piange, si ride, si urla. Di notte si lotta con i sensi di colpa. Passano le ore ed è già domani. «Ma quale nuovo giorno può esserci dopo che ti hanno strappato via una figlia, una parte di te? Quando la vedi carne da macello e la devi mettere dentro una bara? È in quel momento che capisci che è stata ammazzata e non la potrai riavere più».


Capelli rossi come il rossetto. Gli occhiali e la maglia. Si presenta così Vera nel colore dell’amore per eccellenza. E del cuore, proprio come il grande ciondolo che porta al collo. Rosso non a caso. Lo sono le scarpette nelle piazze. E le panchine nei parchi. È il colore delle donne, vittime di violenza e di femminicidio. Risuonano forti le parole di questa donna. Grida di dolore e di rabbia. Rabbia per Giordana, uccisa sei anni fa in un’imboscata con quarantotto coltellate dall’ex fidanzato, quel primo ragazzo dal quale quattro anni prima aveva avuto una bambina, la piccola A.


«Un dolore che non abbandona e che non abbandonerà mai». Dare un senso all’accaduto non si può, perché non esiste. Credere nella giustizia pure: «Pensavo che raggiungere la condanna sarebbe stato facile. E invece mi sono ritrovata a dover lottare anche dentro le aule di tribunale. Come parte civile la nostra voce è sottile, non vale niente – unendo le dita rende il senso di pochezza – Per loro non siamo nessuno. Solo spettatori. E per la gente, chi vuole soldi – si accende – Ma a noi dei soldi non ce ne frega niente».

«Chi ci restituisce una figlia? Chi restituisce una mamma ad una bambina? Una nipote ad una nonna? Nessun soldo. Nessuna condanna»

«Giordana ha lottato per la sua vita. Aveva vent’anni. Come si può difendere un assassino che l’ha uccisa perché lei lo aveva denunciato? Quella denuncia sottovalutata è stata la sua condanna a morte e dopo sei anni sono ancora in attesa del processo. Ma questa non è giustizia. Non è rispetto per le vittime e le loro famiglie» – indignata rivolge lo sguardo al cielo.

Poi spiega come siano costretti a tacere per non incorrere in oltraggio alla corte: «Ho sentito le parole più vili nei confronti di mia figlia: “Donna di facili costumi, menzognera, traditrice. Il ragazzo ha avuto un raptus, l’amava”. E io dovevo stare zitta. Non si può spogliare la vita di una donna, che oltretutto non può difendersi. Così uccidono te e tua figlia. Non una volta, ma dieci, cento volte. Questa non è parità. Questo non è cautelare i diritti umani».


Famiglie distrutte («Un anno dopo mio padre muore di crepacuore, un dolore troppo forte. E mia madre è sempre sul filo di un rasoio. Quell’uomo ha ucciso un’intera famiglia») anche dalla gente («Mi stavano distruggendo l’autostima. Mi facevano sentire sbagliata. Poi mi sono fortificata. Ora non permetto a nessuno di uccidere il mio essere madre, il mio essere donna e il mio essere nonna»). Sole e dimenticate: «All’inizio hai attorno tutti, soprattutto la stampa. Un femminicidio fa notizia. Ma qualche giorno dopo si sono già dimenticati. Lo Stato: buio totale e silenzio. Gli orfani per loro non esistono. Non pensano ad A., la piccola di Giordana. Aveva solo quattro anni quando è successo».


Un mondo capovolto per Vera, dove l’assassino-imputato ha una serie di diritti: tacere, mentire, avere una guida psicologica e un avvocato di ufficio gratuiti fin da subito, mentre loro il nulla. Nemmeno la recente Legge n.4 2018 risolverebbe il problema: «Esiste solo sulla carta. Una Legge scritta sulla base di un libro, quando la vita è un’altra cosa». Troppi i requisiti invalidanti per accedere ai bandi e al fondo nazionale.

«Cosa sono trecento euro mensili rispetto a tutte le spese enormi di cui l’orfano ha bisogno?»

Un fondo da dividere tra fratelli orfani nella stessa famiglia o da ridurre se le richieste superano quanto stanziato: «È l’elemosina? Io potrei stare zitta, fortunatamente posso permettermi di crescere mia nipote, ma tante famiglie no».

Vera spiega come prendersi cura della nipotina significhi dare un’assistenza totale con guida psicologica che aiuti nell’elaborazione del lutto: «Deve accompagnare in ogni fase evolutiva, non solo nel primo periodo». Tante attenzioni, cure ed interventi costosi, a cui molte famiglie non possono far fronte.


«È stato un trauma fortissimo. Abbiamo dovuto dire che la mamma era diventata un angelo, perché ai bambini le bugie non si dicono. È stato l’anno più brutto per A., chiusa in un angolo con le gambine rannicchiate nella paura e con il desiderio di rivedere la madre. Autolesione, autodistruzione, colpe».

«“Sono stata monella, mamma mi ha abbandonata, è scappata perché non l’ho saputa proteggere”»

«Ho lavorato tanto: giocavamo, andavamo in bagno insieme, dormivamo insieme. Al posto dell’angolo buio abbiamo creato la casa dei sogni, dove mi infilavo con lei per parlare con la mamma che vedeva nella sua immaginazione. Dopo un anno siamo uscite da quella casa-gioco che serviva per elaborare il lutto e abbiamo guardato in faccia la brutta realtà. Per fortuna A. è una bambina socievole. L’ippoterapia e la danza sono state di aiuto. Anche se la danza non da subito, prima faceva male, ricordava troppo la mamma. Giordana era una ballerina, ballava sempre con A.».


Verso il padre tanta rabbia e paura. Di notte riaffiora l’incubo che possa fare ingresso.

«“Nonna, voglio andare da lui e dargli tante pedate. Perché lui è monello, lui è brutto. Lui deve stare lì”»

Mentre Vera racconta, colpisce la luce degli occhi. Quella forza e coraggio che sono diventati il motore dei suoi giorni. Qualche anno fa crea l’associazione Io sono Giordana per le donne vittime di violenza: «È lei la mia forza. Credo di essere i suoi occhi, la sua bocca, il suo cuore. “Se io non posso più parlare, parla tu, fallo per me” – sorride – La mia missione è per lei, perché non venga dimenticata. E per gli orfani. Orfani si è per tutta la vita, lo si diventa in quel momento e da allora lo sarai per sempre. Non ho paura di gridare i loro diritti. Lo faccio per Giordana, per A.. E per tutte le Giordana che non ci sono più e le A. costrette a crescere senza una mamma».


«La vita è qui. [...] Dunque, vieni, Caos! [...] Salva ciò che rimane. Lotta. Cerca di sanare».

È la luce tra l’oscurità. È l’ànemos, il soffio nella camera a vuoto. È l’uragano di Vera. È Giordana.


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