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Russia-Ucraina, una guerra che ci fa paura

  • LARA MINELLI
  • 24 feb 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 14 dic 2022

«Unità, pace e libertà»: John F. Kennedy, parole di speranza

di Lara Minelli, 24/02/2022


Foto: Pexels


24 febbraio 2022. Lo stesso (o quasi) senso di soffocamento e smarrimento di sessanta-settant’anni fa. Noi, la generazione borghesotta, cresciuta nel benessere, accecata dalle fortune che hanno saputo costruire con fatica i nostri nonni, per qualcuno i genitori. La guerra? Le noiose lezioni di storia a scuola o i ricordi del nonno, per i più fortunati. O qualche breaking news che scorre nella stringa del teleschermo e che spenta la tv ci si dimentica; immagine talvolta, in base alla scaletta, quando fino a qualche settimana fa pandemia, No Vax, fumate nere del Quirinale avevano la “priorità”. Ci siamo sempre sentiti protetti, sicuri nei nostri castelli di sabbia, dando tutto per scontato. Democrazia, ricchezza e libertà – almeno in Occidente.

“La guerra non ci appartiene, è lontana”

Poi tutto cambia: all’alba Putin invade l’Ucraina. Basta braccio di ferro, subdole smorfie e minacce urticanti, ora si fa sul serio. E guai a chi si intromette.

Lo zar parla chiaro: «Chi interferisce andrà incontro a conseguenze mai viste. Siamo pronti a tutto»

Non si può certo dire di essere sorpresi – le ultime settimane l’avevano preannunciato – ma fino all’ultimo abbiamo confidato in una de-escalation. E con noi il popolo ucraino – ma anche russo (questa è la guerra di Putin). E invece scacco matto. Una mossa pericolosa che fa male: è il più grave attacco all’Europa dalla Seconda guerra mondiale. È la disfatta - e la beffa – di tutti i valori su cui poggia la democrazia, libertà e diplomazia innanzitutto. Una vera e propria minaccia all’Occidente e al duro lavoro di costruzione e garanzia della pace di tutti questi anni.


In queste ore un mondo intero incollato al teleschermo o allo smartphone, incredulo e preoccupato. Perché lo sa, queste immagini stanno scrivendo la storia. Come l’attacco dell’11 settembre. O la fila di camion militari che trasportavano le bare dei morti di Covid-19 a Bergamo. O le madri afghane che lanciavano i figli oltre il filo spinato ai militari britannici, tra gli ultimi. Stamattina una fila interminabile di umanità dall’alba in macchina che sfida le bombe e cerca la fuga. E con questa gli ucraini alla ricerca di un riparo: anziani dal volto segnato dal freddo e dalla povertà, costretti a rivivere una storia già vista troppe volte; donne che pregano per i mariti e i figli più grandi al fronte (si arruola dai 18 anni; secondo alcune fonti anche dai 16), mentre i più piccoli tengono stretto l’album da colorare.


Foto: Pexels


Risuona la stessa musica di allora, nostalgica e malinconica. C’è asprezza, durezza. C’è turbamento e tensione. Come sessant’anni fa, quando però quasi all’improvviso – si aprì una nuova stagione, qualcosa che non si era mai visto prima: John F. Kennedy diventa presidente degli Stati Uniti. Insieme un gruppo di giovani brillanti con i polsi delle camicie arrotolate e le cravatte allentate a fare della democrazia un sentimento collettivo e un valore.

Il suo lascito, un miracolo per il tempo. Le sue parole, un esempio e orizzonte di speranza anche oggi:


«[…] All’assemblea mondiale di stati sovrani, le Nazioni Unite, la nostra ultima, migliore speranza in un’epoca nella quale gli strumenti di guerra hanno sopravanzato di molto gli strumenti di pace, noi rinnoviamo solennemente il nostro sostegno per impedire che finisca per diventare una tribuna da cui lanciare invettive, e niente più, per rafforzare l’area in cui le sue risoluzioni hanno efficacia. A quelle nazioni che intenderanno rendersi nostre avversarie, noi offriamo non un impegno, ma presentiamo una richiesta: che entrambe le parti ricomincino la ricerca della pace, prima che le oscure potenze della distruzione che la scienza ha scatenato trascinino l’intera umanità nell’autodistruzione, intenzionale o accidentale».


Foto: archivio storico


«[…] Ricominciamo dunque da capo, tenendo presente da entrambe le parti che la correttezza non è segno di debolezza e la sincerità è sempre soggetta a verifica. Non sia la paura a farci negoziare. Ma non vi sia in noi la paura di negoziare. Ricerchino entrambe le parti quali problemi ci uniscono, invece di insistere sui problemi che ci dividono. Formulino l’una e l’altra parte, per la prima volta, proposte serie e precise sulle ispezioni ed il controllo degli armamenti e sottopongano al controllo assoluto di tutte le nazioni il potere assoluto di distruggere altre nazioni. Facciano appello entrambe le parti alle meraviglie della scienza e non ai suoi orrori. Uniamoci per esplorare le stelle, per conquistare i deserti, per eradicare le malattie, per sfruttare le profondità oceaniche e per promuovere le arti e i commerci. Si uniscano le due parti affinché in ogni angolo della Terra sia seguita l’indicazione di Isaia:

“Che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi”

E se un avamposto di cooperazione può ricacciare indietro la giungla del sospetto si uniscano le due parti in una nuova iniziativa, non per un nuovo equilibrio di potere, ma per un nuovo mondo regolato dalla legge dove il forte sia giusto, il debole al sicuro e si preservi la pace.


Tutto questo non sarà compiuto nei primi cento giorni. E non sarà compiuto neppure nei primi mille giorni, neppure nell’intera durata di questa amministrazione, forse neppure nell’intera durata della nostra vita su questo pianeta. Però vi dico: incominciamo. Il successo finale o il fallimento della nostra iniziativa sarà nelle vostre mani. […] La tirannia, la povertà, la malattia e la guerra stessa. Possiamo forgiare contro questi nemici una grandiosa alleanza, estesa al mondo intero, che sia in grado di assicurare all’intera umanità una vita più proficua? Vi unirete a questa impresa storica anche voi? […] Concittadini del mondo, non chiedetevi che cosa può fare l’America per voi, ma che cosa possiamo fare tutti insieme per la Libertà dell’uomo. […] Procediamo a prendere la guida della terra che amiamo, invocando la benedizione e l’aiuto di Dio, ma consapevoli che, su questa terra, il compimento dell’opera divina, in verità, spetta a noi».


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